Lo choc della diagnosi, la fatica quotidiana, la gioia per quel meraviglioso «ciao papà»
"Rain Man"; all’epoca sono andato a vederlo e l’ho molto apprezzato. Come non rimanere
colpiti dalla recitazione di Dustin Hoffman nella parte di Raymond Babbitt? Non avrei mai
pensato che mi sarei trovato a vivere in prima persona quella problematica», a parlare è Paolo
Zampiceni, presidente dell’associazione «Autismando».
«È il 2001: Francesco ha quasi tre anni, come tanti altri bambini è bellissimo, ma da alcuni
mesi ci siamo resi conto che qualcosa non va; non parla, ha comportamenti ripetitivi, non sembra
interessato agli altri, gioca in modo strano... e così, al termine di un percorso doloroso per
noi genitori e non facile né lineare nel suo svolgimento, ci troviamo a fare i conti con la
diagnosi di autismo.
Poi - continua Paolo - viene il tempo della vita quotidiana con tuo figlio autistico che cresce,
quello del rapporto con i servizi, con la scuola, con la società... e si entra in un mondo di
luci, che certamente ci sono anche se, magari, non tante quante ne vorremmo, e ombre.
Da un lato, come genitore è un tempo fatto di speranze, delusioni, investimenti, fatiche,
arrabbiature... in cui ci si trova spesso divisi tra l’aspettativa mai dichiarata, a volte
anche nei confronti di te stesso, di avere, oltre a un figlio disabile, superpoteri che ti
permettano mediazioni non sempre facili tra lavoro, appuntamenti, terapie... e stereotipi
per cui se chiedi il rispetto di diritti sei il "genitore arrabbiato-rompiscatole", se sei
stanco sei il "genitore depresso", se chiedi più servizi sei il "genitore incontentabile".
Sì, perché "dall’altra parte" c’è il sistema dei servizi, sociali e sanitari, e della scuola
che molte volte hanno difficoltà a integrarsi tra loro, così può capitare che ti trovi anche
addosso la fatica di "tenere insieme" i vari pezzi. Spesso - afferma Paolo - ho la sensazione
che al centro dell’attenzione non ci sia mio figlio ma il servizio, l’ente e i diritti di chi
ci lavora, nonostante le ripetute affermazioni di centralità della persona e della famiglia.
Allora succede che, in nome di una graduatoria, venga assegnato a tuo figlio qualcuno che di
autismo non sa nulla oppure che persone con cui hai condiviso un percorso l’anno dopo non ci
siano più... Ancora, ci si trova a fare i conti con i luoghi comuni. Nessuno chiederebbe a un
bambino in carrozzina di fare le scale: non può, è ovvio. È più difficile far capire ciò che
mio figlio può o non può fare a fronte dell’idea, legata anche al suo aspetto fisico "normale",
che "non voglia".
Su tutto pesano l’assenza di un progetto di vita e le preoccupazioni per il futuro: molti dei
nostri figli non raggiungeranno competenze tali da permettere loro una vita autonoma. Di questo
noi famiglie siamo consapevoli, così come sappiamo che la grossa incognita è rappresentata da
cosa succederà dopo la scuola, in età adulta.
Ci piacerebbe poter contare su una società disponibile nei loro confronti, servizi in grado di
accoglierli e di dare valore al loro essere al mondo ma su questi aspetti sono più le
preoccupazioni che le certezze.
Nonostante tutto si va avanti e, fortunatamente, non ci sono soltanto esperienze negative o
spiacevoli. Non sono "felice" di avere un figlio autistico, non lo sono per lui perché penso
che non avrà una vita facile, ma questi anni sono stati anche incontri con operatori sensibili
e attenti, con altri genitori con cui condividere fatiche, speranze e progetti. Anni in cui
scopri l’emozione di cose piccole che nei percorsi di crescita degli altri figli dài quasi
per scontate: ho in mente l’emozione di un papà di fronte alla costruzione di un mucchio di
sabbia come castello con un bastone piantato a mo’ di bandiera, o la mia in occasione di un "ciao papà"...
Con queste piccole-grandi gioie, con le speranze e i desideri, andiamo avanti. Giorno per giorno».
a. d. m.